Čubejska prigoda (slovenski izvirnik besedila)
Nazaj k slovenskemu leposlovju

Milan Lipovec

Evento a Čubed

Versione di Diomira Bajc-Fabjan.

Signor e Dio
bonora al mattin me levo
le mie sante manine riunisso
vardo oltra la mia spalla destra,
e la cossa ghe vedo
tre verginele e do angioletti.
E Lu che parla con lori:
vardè, vardè, mii dolzi, mii cari
le mie grande ferite
che i me ga fato venerdì santo a pranzo
e sabato prima del digiuno.
Quel, che ogni dì
per tre volte pregaria
in lode dell'ostia benedeta
dal fogo dell'inferno lo salvaria
dal demonio invasà
e seguro lo mandaria
dove che sta Dio Padre
e Fijo e Spirito Santo
tutti in un solo Dio, amen.

I

Un monaco, talmente scarno che la sua magrezza risultava insolita persino per quelle misere regioni, cavalcava verso Castua. Viaggiava nelle ore di maggior calura, accompagnato da sciami di tafani e di mosche, oltre che da un'asina affamata, la quale a malapena riusciva a portare il suo carico. Ma il frate non la incitava. "Su, su, nel nome del Signore!" erano le uniche parole che pronunciava se la rozza si fermava troppo a lungo a brucare con avidità i ciuffi d'erba secca e polverosa sul ciglio della strada. "Su, su," diceva, continuando a dondolare in groppa al dorso grigio.

Rosicchiava un cantuccio di pane, staccato da una grande pagnotta d'avena, ma, non potendo in nessun modo intaccarne la crosta, scavava nella mollica. Pur essendo giovane, masticava il pane d'avena come una vecchia sdentata, avendogli lo scorbuto portato via i denti già un anno prima. I più bei denti del monastero, si può dire; era il più giovane della comunità e proprio perchè il più in forze, era stato inviato in questo infelice viaggio.

"Vada, fra Cristoforo, nel nome di Dio, e il suo patrono l'accompagni e la protegga!"

Ma fra Cristoforo non aveva granchè fiducia nel suo patrono, non riconoscendo in lui un protettore fidato. Sinora l'aveva infatti sempre più spesso lasciato senza pane e senza bevanda, e col cuore colmo di spavento. Così pieno di spavento, che non vi si trovava più spazio per nient'altro. E come no! Erano tempi pericolosi, tempi feroci quelli! Iddio nella sua giustizia teneva sempre a mollo uno dei suoi bastoni per essere sempre nella condizione di poter mondare col loro ausilio dal peccato le sue pecorelle disubbidienti che pascolavano qua intorno, cioè al di qua, così come al di là della Ciciaria. Se non c'erano i Turchi, allora gli mandava le cavallette e non era passato molto dacchè aveva sgozzato gente la nera ancella del Signore, quella che è meglio non chiamare col suo vero nome.

Ma l'uomo in viaggio doveva temere principalmente i briganti. Non per via di quei pochi soldi che l'abate gli aveva stretto in mano al momento del commiato.

"Risparmi i quattrini, fra Cristoforo, risparmi! Cerchi di mangiare e pernottare presso buona gente ed apra il pugno solo in caso di estrema necessità."

Certo, anche i soldi avevano la loro importanza, e che importanza avevano questi denari maledetti! Ma più che per loro, fra Cristoforo tremava per la propria pelle. Aveva sentito come i malfattori non temessero nè Dio nè la peste, come poi trattassero le donne, ciò si poteva solo immaginare, in nessun caso parlarne. Una soddisfazione particolare pare l'avessero coi consacrati, fossero essi suore o frati. Pare che li spogliassero completamente, togliendogli il saio ed il copricapo, non facendo caso, se nel cappuccio restava anche la testa.

Fra Cristoforo gettò spaurito un'occhiata in giro, come se i briganti gli fossero già alle calcagna, i resti della crosta di pane li infilò in fretta nella rozza bisaccia, si lasciò scivolare dall'asina e, tra gli smodati incitamenti che mal s'accordavano con l'indolenza di prima, ansava concitato: "Oh, Vergine, o sacra Vergine, perchè sto a perder tempo..."

Così lamentando, tirava le redini, trascinandovi l'asina. Chiamava nel contempo in aiuto la più graziosa santa interceditrice del monastero di Parenzo, la beata Emma, la quale umilmente intristiva nella nicchià piu buia della chiesa dell'abbazia. Era scolpita in un solo pezzo di legno con tale perfezione che tutti i confratelli di clausura ne erano un pochino innamorati.

Adesso però non aveva tempo da perdere, riflettendo a questa puerile deviazione, aveva troppa fretta, inoltre non glielo permetteva la paura. In quel momento il Monte Učka si ritirò dall'orizzonte, lasciando intravedere il mare, tutto il Quarnero con le isole lontane, proprio come gliel'aveva descritto l'abate. Subito dopo gli apparve un bivio, esattamente come gliel'aveva tracciato il parroco di Čubed con un tizzone ardente sulla pietra levigata davanti alla soglia della chiesa. Fra Cristoforo fu invaso da un'allegria sfrenata, poichè in cima al colle già apparivano le grigie mura, fino alle quali conduceva un breve e ripido viottolo. Abbracciò l'asina quasi fosse l'innamorata, poi tirò fuori dalla bisaccia i sandali e li calzò.

Apparso che fu fra Cristoforo sul ponte levatoio, il sole stava scomparendo nel crepuscolo nebbioso che s'era formato sul mare. Non era neanche più sole, ma una palla di fuoco chiaramente visibile, la cui luminosità sanguigna non prometteva nulla di buono. Se per caso si fosse immersa nel mare prima che egli fosse riuscito a richiamare l'attenzione delle guardie e a parlare con loro, allora fra Cristoforo avrebbe ben presto sperimentato sulla propria pelle la sua malignità. Dopo il tramonto infatti nemmeno un uomo solo soletto poteva sperare di esser fatto entrare nella fortezza.

Fra Cristoforo condusse l'asina ad un cespuglio di fico e ve la legò. Le disse qualche parola gentile, intenzionato a dirigersi decisamente verso il portone di ferro, quando si aprì lo sportello dietro lo spioncino rotondo, di modo che qualcuno da dietro potè urlare:

"Chi sei?"

"Sia lodato Gesù Cristo!"

"Questo può dircelo ogni brigante!"

"Non sono un brigante..."

"Un vagabondo?"

"Non sono un vagabondo..."

"Una spia, dunque!"

"Per Cristo, non vedete nel nome di chi sto venendo? Sono un servitore di Dio e reco una notizia importante al priore del monastero di Castua."

"Porti la peste!"

"Sono sano, dio mi é testimone!"

Dov'era ormai la peste! Erano mesi che non se ne parlava più: nel paese regnava ora la fame - e costui parlava di peste! Non esistevano peggiori gradassi di questi sciocchi dormiglioni puzzolenti che davano una mano ai signori del castello a succhiare il sangue dei sudditi. Gentaglia, della quale nessun'epoca riesce a liberarsi, che ha il coraggio di offendere un'anima onesta, un povero frate, chiamandolo brigante. Il tanfo di aquavita che proveniva attraverso lo spioncino fece perdere le staffe a fra Cristoforo, cosicché esternò senza remore la sua collera.

"Chiamami all'istante qualcuno del monastero!"

Queste parole fra Cristoforo le sibilò attraverso le nude gengive con una tale premeditata lentezza che il guardiano fu percorso dai brividi. Vestiva il giubbotto di maglia di ferro e stava dietro la porta rivestita di lamine di ferro, che non aveva ceduto nè ai Turchi nè ai pirati, eppure fu sconvolto da un indistinto terrore. Non si può mai sapere che cosa può venirne, quando hai a che fare con un uomo di preghiera: può darsi che prima di notte ti prenda una colica o che già l'indomani ti sbattano in prigione, perché nessuno puo sapere chi si nasconda sotto quel saio marrone.

Dietro la porta si raccolse un crocchio di persone: le guardie, il capo, il portiere ed altri ancora.

"Hai provviste per te e biada per la bestia?"

Fra Cristoforo tirò un sospiro di sollievo. Era evidente che la domanda, caduta attraverso lo spioncino, significava più una scusa che un'intimazione. Gridò, ancor più sicuro di sé:

"Non é affar vostro! Se ne incaricherà il preposto e qualcun altro. Voi comunque non soffrirete danno né da me né dalla mia bestia!"

Fu costretto ad aspettare ancor parecchio tempo finché si aprì nel portone della fortezza la porticina più piccola, attraverso la quale entrò dietro le mura sicure con la sua asina, tirando un gran sospiro di sollievo, un po'così, gli parve, come secoli prima il Nazareno a Gerusalemme, sebbene forse meno sollenemente.

Fu circondato da facce torve e avvolto dalla puzza degli escrementi, che si addensava dietro tutte le mura in quei tempi, e che poteva venir debellata solo dal freddo più intenso. Ma si era nel periodo primaverile, e nel paese stava arrivando il caldo...

In questo modo dunque fra Cristoforo era giunto a Castua. Recava con sé una notizia importante, con la quale il messo della prepositura di Castua partì al galoppo verso nord. Il messaggio diceva che già nel corrente anno sarebbe stato mandato in visitazione canonica della Carniola il vicario del Patriarca, e che questi sarebbe quasi certamente Valaresso, il vescovo di Capodistria, Giacomo. Era quindi molto probabile che Sua Eccellenza si sarebbe diretto verso questa regione e che avrebbe visitato anche Castua.

I padri della Chiesa sapevano tenere nella giusta considerazione le notizie importanti, tanto più simili avvertimenti che facevano parte di quella reciprocità che tutti erano tenuti a rispettare scrupolosamente. In che modo, se no, si poteva nascondere in tempo il luridume che si ammassava dietro le mura e dietro le porte, e come si sarebbe potuto zittire lo stizzoso vociare degli zucconi tributari, i quali fuori dalle mura si pascevano di peste, venivano alle mani col Turco, e, nonostante tutto, dovevano seminare e raccogliere la decima non solo per i leccapiedi dell'imperatore e del doge, ma anche per i servi di Dio! Nessuno dunque era benvenuto quanto l'ospite che recava una notizia importante.

Fra Cristoforo aveva adempiuto al suo dovere principale, grazie a Dio! Era sazio, abbeverato, ed al centro dell'attenzione, come mai sinora gli era successo. E perché no? Era venuto dall'altra parte dell'Histria (dove, secondo lui, cominciava il mondo) e tutto ciò che raccontava era nuovo, interessante ed inquietante, poiché il paese si voltolava nel peccato, mentre coloro che erano preposti e da Dio mandati a distogliere la gente dal peccato, coloro davano i peggiori esempi.

"Che dice mai, fra Cristoforo?"

Si, si, fra Cristoforo non esitava ad infiorare la verità con esagerazioni ed aggiunte, inventate di sana pianta, una volta constatato come drizzassero le orecchie i monaci a simili racconti. Fece di più. Raccontò la storia della strega di Tirsberg, aggiungendo olio alla fiamma con sottintesi equivoci.

"Pare che l'abbiano completamente denudata, prima di gettarla sul rogo," andava dicendo. "E se si può prestar fede a fra Innocenzo di Rovigno, era una donna molto rigogliosa. Fra Innocenzo stava allora ritornando da un pellegrinaggio. Era stato da qualche parte nello Schwarzwald, e sulla via del ritorno, incappò in quel rogo. Era una donna rigogliosa, una donna formosa..."

"Chi, la strega?"

Fra Cristoforo annuì.

Il priore scrollava il capo. "Come no," disse, "se s'accopiava col diavolo..."

"Questo é difficile crederlo", esclamò una voce dal gruppo, raccolto intorno al priore.

Ma il confratello non riuscì a dir altro, perché l'occhio stupito del priore si puntò su di lui. E la voce dell'incredulità si tacque obbediente, poiché già allora l'umanità era aggiustata in modo tale che non fosse lecito il dubbio sulla giustezza di vedute e di azioni di rari veggenti. Qesto principio fece rapidi progressi e - lode e gloria a chi di dovere - si affermò e si conservò qua e là sino ai nostri giorni. E della dissolutezza che va facendosi strada nella Carniola, nemmeno di ciò avevano sentito nulla?

"Nulla, fra Cristoforo. Murati come siamo, non ne sappiamo più di ciò che vediamo. Qualche vela là, nel Quarnero... Ma molto raramente riusciamo a sapere, dove vanno. Dacché é sopra di noi Raubar di Trieste, non abbiamo contatti nemmeno con loro..." Al priore tremava leggermente il capo, gli dispiaceva che fossero così ignoranti. "Assolutamente nulla, fra Cristoforo."

"L'emisario del Patriarca compie questo viaggio in Carniola anche perché vi si sono moltiplicati certi saltatori e frustatori, precreati, pare, dallo stesso satana..."

"Non lo dica, fra Cristoforo!"

Il priore congiunse le mani sopra il barilotto davanti a sé, tentennando con la tonsura qua e là. Pure gli altri frati s'inquietarono. Anch'essi respiravano profondamente, pregando, coi colli tesi, fra Cristoforo di spiegarsi meglio...

"Racconti, fra Cristoforo, racconti!..."

Ma ben volentieri! Non si notava affatto che fosse senza denti. E'pur vero che gli uscivano di bocca troppi "sc", ma nessuno se ne scandalizzava, essendo presso il clero costiero, almeno quello sotto l'influenza veneta, Dio onnipotente non Deus qui nos in tantis periculis costitutos... ma Deusc qui nosc in tantisc periculisc... e così avanti, fino a qui vivisc et regnasc in sciaecula sciaeculorum!

Raccontava dunque, ma aveva pure un'altra faccenda da sbrigare - doveva trovare prima una certa persona, e poi si sarebbe visto. Domandò dunque se conoscessero Vincenzo di Castua.

I monaci si scambiarono un'occhiata, esprimendo nei volti una certa curiosità, finché uno di loro non si sovvenne.

"Il pittore, forse?"

Il pittore! Lo conoscevano?

"Come no! Sono i nostri due," disse il priore. Se fra Cristoforo intendeva il pittore, allora si trattava sicuramente di quei due.

"Il vecchio Vincenzo e suo figlio, che é pure pittore. Che cos'altro potrebbe essere, d'altronde?"

Fra Cristoforo raccontò di essersi fermato a Čubed durante il viaggio. Così, vedete, fratelli! Sapevano dove fosse Čubed? Si, il priore lo sapeva. Anche gli altri fratelli sapevano all'incirca dove si trovasse Čubed.

"Sostai dunque là e pernottai in cima al colle nella canonica di Čubed, presso il reverendo pievano Vrhovič. E'questi un degno sacerdote, posso ben dirlo, un signore gentile, il quale si rallegrò moltissimo quando seppe dove andavo. A Castua, là siete diretto! Così, vedete, esclamava, poi disse che non era possibile non vederci la mano divina..."

Così i conventuali vennero a conoscenza dell'idea, vagheggiata dal pievano di Čubed.

Egli era adirato coi predicatori pieni di fanatismo, provenienti dalle marche franche, che appestavano ormai tutti i paesi cristiani, oltre alle nostre regioni. I Castuani non ne sapevano nulla? "E sia, nel nome del Signore," esclamò stupefatto fra Cristoforo, poiché non aveva ancora mai incontrato un'ignoranza simile.

"Li avranno generati gli ussiti o non so chi, perché non tengono in considerazione alcuna né Dio né il diavolo." Fra Cristoforo si fece il segno della croce alla latina, osservando che neanche la peste osava attaccare questi confusionari. "Annunciano la fine del mondo," disse, "divulgano la dissolutezza e confondono la gente. Hanno corrotto persino qualche sacerdote. Ma i Veneziani non scherzano, hano arestato alcuni di questi prepotenti e li hanno spediti alle galere."

"Kyrie eleison," esclamò il priore, per non dire "per costoro é finita."

"E che altro?" disse fra Cristoforo. "Ma uno di questi arrivò anche nella parrocchia di Čubed, mandando in collera il pievano Vrhovič. Pare che gli abbia profanato la chiesa succursale in un paese. Mi hanno insozzato la chiesa, raccontava irritato."

"Ma allora, ce n'erano parecchi?"

"Non che io sappia. Ma il pievano era furioso e non era certo facile seguire i suoi pensieri. Però mi trattò bene..."

"Certamente meglio di come tratterà il visitatore!" scherzò il priore.

"Meglio di lui, se proprio si farà vivo da quelle parti. Il pievano vuole ora intonacare e ridipingere la chiesa insudiciata e dice che ha intenzione pure di riconsacrarla, dopo. Era proprio fuori dai gangheri..."

"E come no!" esclamò il priore. "Probabilmente avrà sentito parlare dei nostri pittori, e allora..."

"Sì, ne ha sentito parlare e mi pregava per tutti i santi del paradiso di convincere il maestro a recarsi a Čubed. Non sapeva che ve ne fosse più di uno."

Fra Cristoforo rifletté per un attimo, poi disse che doveva in ogni caso condurvelo.

I frati non sapevano niente di preciso sui due pittori in quel momento.

"Per la maggior parte non sono in casa," spiegò il priore. "Succede che siano assenti per mesi interi, come sento dire. Comunque cercheremo di saperne di più." Fra Cristoforo stia pur sicuro. Stasera si riposi ben bene, e domani si faranno delle ricerche.

Restarono d'accordo così. Il perspicace priore aveva capito che fra Cristoforo non avrebbe voluto a nessun costo far ritorno da solo per la strada pericolosa, ma neppure fra Cristoforo era così tardivo da non percepire l'amarezza nelle parole del priore, quando si parlava dei due pittori.

I due erano arroganti, sempre un po'brilli e fornicatori tali che nessuna donneta era al sicuro in loro presenza.

Ovunque apparissero coi loro pennelli, gessi e spugne, facevano crescere le corna in testa agli omacci, osando alzare proprio ogni gonna, fosse ciò che cercavano, nascosto tra le pieghe delle gonne contadine o tra quelle signorili. Non conoscevano né timore né pudore alcuno. Trascorrevano in chiesa più tempo di qualsiasi cristiano, eppure vi si comportavano con tanta irriverenza come si trovassero in stalla.

Tale era più o meno l'opinione del priore sul loro conto e ne traeva origine il suo malumore per tutto ciò che riguardava i suonatori ed i pittori. Ma volle in ogni modo accontentare l'ospite; avendo fra Cristoforo fatto un gran favore ai monaci, essi gli erano profondamente obbligati, perciò il priore non lesinò in solerzia.

Mandò uno dei confratelli a cercare maestro Vincenzo. Ma il vecchio Vincenzo non era in casa. Non si sapeva quando sarebbe ritornato, mentre non si poteva assolutamente consigliargli il giovane, Giovanni, che era anche peggio del vecchio. Ma a fra Cristoforo il giovane Castuano piacque: era robusto e allegro, non avrebbe potuto desiderare un compagno di viaggio migliore.

"Se ancora non é tanto pratico e abile come il padre..." fra Cristoforo era pronto a difenderlo, ma il priore congiunse le mani e piegò la testa.

"Oh, come no," disse, inarcando le sopraciglia. "Potrebbe essere un artista anche più grande del padre. E' che questo suo talento non lo userà solo in gloria e in onore di Colui che glielo ha donato..."

Il priore scrolò compassionevole il capo e infilò le mani nelle maniche, lasciando che i due giovani facessero conoscenza e che prendessero gli accordi necessari per il viaggio.

II

Il parroco di Čubed restò terribilmente deluso quando fra Cristoforo gli portò quell'imberbe giovenco invece del vecchio serio maestro.

A dire il vero, fra Cristoforo gli aveva accennato qualcosa prima di partire per Parenzo. Prima di avviarsi verso casa gli aveva detto a quatr'occhi che il figlio non era affato meno bravo del padre Vincenzo, che, anzi, lo superava addirittura in abilità. Così perlomeno gli avevano assicurato i monaci di Castua. Ed a costoro bisognava pur prestar fede.

Ma il parroco, avendo una certa età ed una certa esperienza, per ciò stesso aveva una particolare perdilezione per san Tommaso rispetto agli altri apostoli, i quali, focosi com'erano, potevano a volte ingenerare qualche confusione tra i fedeli.

Piu tardi, anzi già la sera dopo, la diffidenza gli si tramutò gradatamente in autentico entusiasmo per il giovane Castuano e per la sua sagacia. E non solo perché fossero giunti al secondo boccale. Il parroco se l'avrebbe fatta da solo e senza alcun danno, anzi lo faceva spesso, dunque non era il fatto del boccale e mezzo già spillato, il fatto era che bisognava proprio vederlo questo figlio di cane, come era stato capace di ornamentargli la tavola mentre chiacchieravano. Si discuteva ovviamente di come abbellir la chiesa: si parlava di Dio e di Maria, ed anche del diavolo e di sua madre.

"Giacché parliamo del diavolo," disse il Castuano, "sarebbe bene anche dargli un'occhiata." Si alzò e si avvicinò al focolare di pietra, il più grande di tutta Čubed, come era del resto il vano, nel quale si trovava. Annerì al fuoco una pannocchia di granturco e sulla grande tavola disegnò con questo tizzone tutta la tribù del diavolo.

Si, Johannes di Castua aveva un carattere allegro, sebbene nascondesse la sua scaltrezza dietro un'espressione grave. Trascorrevano cosi le serate bevendo, raggruppando e classificando gli innumeri santi per scegliere coloro che fossero degni di essere accolti nel tempio di Hrastovlje.

"Questa chiesetta della Santa Trinità diventerà fra non molto troppo piccola per tutto ciò che hai intenzione di metterci," esclamò il parroco di Čubed che era venuto a vedere come procedevano i lavori. Si spostava con precauzione fra le assi e i pezzi di tavolaccio gettati alla rinfusa sul pavimento della chiesa. "E mi rovinerai pure il pavimento!"

Il pavimento d'argilla era, sì, asciutto e ben battuto, ma ciò nonostante gli orli aguzzi delle travi l'avevano danneggiato qua e là.

Johannes di Castua, così lo chiamava ormai il parroco di Čubed, stava faticosamente erigendo l'impalcatura. Erano già parecchi giorni che si dava da fare, nonostante l'aiuto di due paesani che il parroco gli aveva mandato. Erano, questi, coetanei di Johannes di Castua e c'era poco da sperare che qualcosa potesse indurli a diventar più seri; neppure il parroco con la sua presenza. Per di più avevano nascosto nell'ombra fresca sul retro della chiesa una zucca di vin nero che non poteva contener molto meno di quatro boccali - non meno, per Dio - così calcolava il parroco, che era venuto a conoscenza pure di quella zucca.

Ma il lavoro in chiesa procedeva molto più lentamente dei piani concordati fra un sorso e l'altro. Certo, i muri bisognava prima intonacarli, poi farli asciugare e lisciarli per benino. C'erano inoltre molti altri preparativi e diversi lavoretti da compiere prima che apparisse sul muro la prima macchia di colore. Dacché s'era invischiato in quest'affare, il parroco era venuto già due volte a piedi da Čubed per assistere alla realizzazione della prima immagine colorata che il pittore avrebbe evocato sull'intonaco.

Aveva intenzione di collaborare con la parola adatta e con la divina benedizione. A quanto sembrava, però, pure oggi era venuto invano. Decise pertanto di avere un serio colloquio col pittore, perciò gli comunicò di farsi vedere a Čubed verso sera.

"Fatti vedere, Johannes, vieni in parrocchia a scambiar due parole," gridò.

Asciugandosi il sudore che gli colava, pruriginoso, sul viso grasso, sospirò per la fatica e per il malumore, ma quando il Castuano si mise a fischiettare invece di rispondergli (nella casa del Signore! Se su questi non cadrà l'ira di Dio...), quando si mise dunque a fischiettare, senza lasciarsi disturbare, allora il parroco preferì voltarsi ed andarsene. Discese il colle e si fermò in paese dal sagrestano che aveva un buon vinello e un atrio alquanto fresco dove ci si poteva riposare, si può ben dirlo.

Altrettanto si può dire che il parroco di Čubed riflettesse intensamente. Sia il tempo che l'ambiente gli erano infatti favorevoli. In questo momento, per esempio, era persuaso che quei tre infedeli che erano rimasti in chiesa, ghignassero alle sue spalle, perché erano degni l'uno dell'altro. Forse sbrigheranno ancora qualche lavoretto prima dell'imbrunire, forse lo faranno. Ancor più verosimile é però che si siano ritirati nell'ombra dietro la chiesa dove bevono a garganella. Giocano a dadi e bevono...

"E io li pago!"

Nonostante tutto, il parroco non lasciò mai trasparire il proprio malumore per paura che il Castuano gli scapasse. Con un tale sventato c'era sempre il pericolo che raccogliesse quelle sue bisacce e se ne andasse. Corrigli poi dietro e cerca di fargli restituire i soldi che gli hai dato in anticipo!

"Reverendo," disse il sagrestano, che era al corrente delle difficoltà del parroco, "non avrebbe dovuto pagargli in anticipo. Perché mai l'ha fatto?"

"Mi sarebbe scappato ugualmente!"

Il parroco sospirò, bevve un sorso, si asciugò la fronte madida di sudore ed in silenzio invocò l'aiuto divino. Ed il buon Dio colse volentieri l'occasione di intrufolarsi in quest'imbroglio. Già verso sera gli suggerì la soluzione adatta. Sulla via del ritorno a Čubed il parroco incontrò una Šavrinka*, una di quelle che conoscevano gli abitanti di Čubed ancor più a fondo del loro confessore...

Fu questo un incontro fra due persone che avrebbero avuto molto da dirsi, se solo il parroco fosse stato un tantino più loquace. Ma era solo capace di ascoltare, ed essendo egli tale, la Šavrinka riusciva a malapena a tirare il fiato.

In questo modo il signor parroco venne a sapere (fra le altre cose, naturalmente, fra tante altre cose) che il suo pittore di tanto in tanto andava a letto con quell'allegra cagna veneziana.

"Con chi?"

Il parroco era saltato su con la domanda così brutalmente da lasciarla senza fiato, da apparire nel contempo tanto più verosimile ciò che si veniva sussurrando a Čubed a porte chiuse, e cioé che anche il parroco spesso passava da Santina.

E non solo da lei, era pur uomo in pieno vigore! Anni fa i bacchettoni del comune s'erano a causa di ciò rivolti addirittura al vescovado di Capodistria. Tuttavia tutto si tacque, poiché per tutta risposta il vescovo dichiarò che era naturalmente spiacente del fatto, ma che a sanare tale peccato nemmeno il vescovado conosceva medicamento, non essendo i suoi preti castrati.

Un'unica cosa rimaneva oscura alla Šavrinka: che cos'aveva fatto andar in bestia il reverendo - la gelosia o il fatto che avesse annoverato la Santina fra gli animali.

Ma non ebbe tempo per rifletterci, il signor parroco infatti se ne andò con la rabbia in corpo per il sentiero così in fretta da non rispondere nemmeno al suo: "Sia lodato Gesù Cristo!"

Fu così dunque che presero commiato il parroco di Čubed e la vecchia Šavrinka, così si lasciarono, ciascuno rimuginando un suo progetto di vendetta: il signor parroco pensando al modo di riprendere quella - ha ben ragione la Šavrinka! - cagna italiana, che é disposta ad allargar le cosce davanti a tutti quelli che hanno voglia; la Šavrinka invece studiando le parole e i gesti con i quali avrebbe rappresentato nel modo più convincente alla curiosità del contado la figura del parroco furioso...

III

Nelle mura di difesa dietro la chiesa di Čubed c'era una larga feritoia ed una nicchia ancor più larga, contenente una panca di pietra. Il parroco andava spesso a sedercisi, sia per il fresco che vi alitava dalle mura, sia per la bella vista che abbracciava sinanche il confine con la Carniola.

Prendeva il fresco e rifletteva sulle difficoltà che gli erano piovute addosso, dacché aveva incominciato ad accarezzare l'idea - insubordinata e irriguardosa - che i superiori fossero indegni. Quest'infelice trovata degli scheletri che non risparmiano nè nobili nè umili, nè porporati nè disgraziati! Ma era chiaro che a Dio non fossero chissà che grate le trame di vendetta del parroco, poiché gli aveva mandato incontro numerosi intoppi.

Fin dal primo giorno, tanto per dire, era venuto in contrasto col pittore. Johannes di Castua gli aveva consigliato pitture ben diverse: ad essempio la ruota della felicità o visioni di santi. Ma il parroco restò irremovibile. Voleva ad ogni costo la processione degli scheletri, dopo che aveva sentito, con quale successo la danza macabra era stata accolta nei paesi franchi. Venuto poi a sapere che maestri simili si trovavano in Carniola e addirittura in Istria, non pensava ad altro che al modo di attrarne uno a Čubed. Ora il pittore c'era, ma, invece di lavorare, beveva e se la spassava.

Il parroco sudava. Quest'atto di superbia mi costerà caro, si disse, un caro capriccio, senza tener conto dell'offesa arrecata a Dio!

Il pittore arrivò sull'imbrunire ed il parroco lo affrontò senz'ambagi. Gli chiese se aveva indugiato tanto a lungo anche a Berm.

"Anche là tiravi tanto per le lunghe e recalcitravi?"

Johannes rideva. "Affatto," esclamò, "ma a Berm eravamo in due e mentre l'uno dipingeva...

Il parroco, sul punto di dir qualcosa, sospirò, avrebbe voluto dire che l'altro probabilmente beveva. Sebbene non avesse espresso a voce alta la propria idea, il pittore capì.

"Mio padre non é di quelli," disse. "Se lavora, lavora! Ma se beve, beve. Passano anche due settimane prima che gli passi la sbornia, se ha soldi. Quel lavoro a Berm tuttavia lo terminammo prima dell'autunno. Anche la sua chiesa bisognerebbe dipingerla e decorarla entro l'autunno. Certi lavori non si fanno d'inverno."

Johannes di Castua dunque, sia pure a contatto con religiosi ed in luogo santo, non poteva operar miracoli.

"Senza aiuti," affermò il pittore, "senza aiuti nessuno riuscirebbe a dipingere quella processione entro l'autunno. Nepure mio padre."

"Ti ho dato due aiutanti," disse il parroco. "Posso mandartene altri. O non sono più con te quei due giovenchi?"

"Ha ragione, signor pievano. Sono due ragazzi veramente capaci, sembrano nati per alzare duecento libbre, ma... Chi farà i lavori di cottura, chi mi mescolerà i colori? Me lo dica lei..."

"Bene," ribatté il parroco, "vuol dire che il lavoro andrà un po' per le lunghe. E va bene, che vada per le lunghe..."

"Fin la Candelora, penso."

"Vuoi dire, tutto l'inverno?"

"Tutto l'inverno," disse il pittore.

Ma alla fin fine non ci sarebbe stato niente di particolare. Durante l'inverno il pittore si sarebbe divertito con Santina ed avrebbe preparato tutto il necessario per il lavoro. L'amontare delle spese sarebbe, naturalmente, aumentato, ma tanto le spese le avrebbe pagato la casa vescovile, com'é giusto. Ma perché al pittore non venissero dei dubbi sulla sanità mentale del parroco di Čubed, era necessario un colloquio più confidenziale, che il parroco iniziò subito.

Prima di tutto raccontò a Johannes di Castua che nell'anno del Signore 1488, il che significava due anni fa, tutta l'aristocrazia di Capodistria s'era rifugiata nel tempio divino di Hrastovlje.

"Renditi conto, il potere spirituale e quello temporale..."

"Fuggirono per via dei Turchi?"

Il parroco raccolse quelle poche ruge che gli solcavano le guance in un sorrisetto ironico e si attacò al boccale. Beveva lentamente e devotamente, come si era ormai abituato durante l'elevazione quotidiana, mentre al Castuano l'enorme pomo d'Adamo riusciva appena ad evitare frettoloso i sorsi abbondanti.

"I Turchi, figliolo, trovano raramente la via per Hrastovlje. La gente di qui a malapena li riccorda. Per l'ultima volta si sono fatti vedere quatordici... no, aspetta, quindici anni fa a Čubed, ma di Hrastovlje non sapevano che farsene."

"Ho già sentito in paese che i signori s'erano nascosti lassù, allora ho pensato che fossero sfuggiti ai pirati o ai Turchi."

"A Capodistria sarebbero stati certo più al sicuro," esclamò il parroco.

Il pittore lo guardava pieno di stupore.

"Dunque scapparono lontano dalla peste?"

"Dalla peste, figliolo, dalla peste!"

"Allora perché si circondarono di mura? Se non erano fuggiti né dai Turchi né dai pirati, non capisco perché queste mura."

"Ma per ogni evenienza, essendovi raccolte teste ben preziose. Quando poi infuria la peste nel paese, ognuno può essere pericoloso, sia egli Turco o cristiano. Anche un cristiano appestato può riuscir pericoloso."

Il parroco si mise a descrivere gli avvenimenti dell'estate di due anni prima.

"Il giorno di sant'Anna giunsero a cavallo da Capodistria Sua Eccellenza ed il capitano. Il vescovo aveva condotto seco alcuni religiosi e poche suore. Il capitano invece era scortato per così dire da un piccolo esercito. Aveva con sé la famiglia ed i soldati, ma parecchi di questi dovettero ritornare a Capodistria, poiché per loro non c'era spazio sufficiente neppure dietro le mura. Da costoro sulla via del ritorno si venne a sapere che la peste stava falciando in Ungheria e finanche in certe parti della Carniola."

"Anche da noi a Castua giunse voce di queste sciagure," disse il pittore. "Anche da noi si recitarono preghiere e si fecero voti per tener lontana la peste."

"Poi si barricarono dentro," spiegò il parroco. "Sbarrarono l'entrata e vi misero le guardie, e se appariva alla vista un essere umano, lo avvertivano già da lontano di proseguire per la sua strada. La gente del paese raccontava che scacciavano la peste col fumo, in realtà arrostivano e friggevano..."

"Gli aiutanti mi hanno raccontato anche altre cose," disse il pittore. "Dicono che..."

"Si sono raccontate ogni specie di storie su quel periodo, ma non tutte sono veritiere," ribadì il parroco. "Mi é balenata l'idea di rinnovare la chiesetta. Forse addirittura di riconsacrarla, tenendo conto del fatto che per spalare il luridume, lasciato dai signori, ci volle una settimana di lavoro dei tributari."

Chissà se il pittore capiva finalmente, perché l'aveva fatto venire da Castua? Chissa...

Johannes di Castua stava appoggiato alla tavola, fissando immobile il signor parroco, ma i suoi pensieri vagavano altrove. Certo che aveva capito! Ma non promise nulla!

Pur tuttavia rimane il fatto che pochi giorni dopo il pittore si mise a dipingere con tutto zelo. Quasi gli rimanesse un'ultima settimana di vita e che fosse obbligato in quella settimana a terminare a tutti i costi il lavoro, tale fu il fervore col quale si accinse a compierlo. Ma era inevitabile!

Dopo il colloquio col pittore, il reverendo aveva infatti chiamato in parrocchia Santina e l'aveva confessata. La confessione ebbe luogo seduta stante dinanzi al grande focolare. Le disse che avrebbe avuto tempo di accoppiarsi anche all'inferno, dove sarebbe andata di sicuro, e con qualsiasi diavolo, a scelta. Ma per il momento che riprendesse fiato. Il parroco, nascosta la destra dietro la schiena, alzò due dita minacciose della sinistra:

"Se il Castuano dopodomani non si mette a lavorare..." e quì intercalò una breve pausa... "potrai far fagotto. Sei straniera e dai scandalo, e mi sono stati narrati pure altri particolari..."

L'anno scorso, qualche giorno prima dello sventurato incendio che aveva semidistrutto il paese, l'avevano vista di notte a cavallo di un caprone. Può darsi che si sia anche accoppiata a lui... (non raccontate certe cose, s'era opposto il parroco, ma non poteva legare le malelingue). Certo, con quello che alla fin fine non é altri che lo stesso belzebù, e sarà un vero miracolo se tra breve non risultera...

Ma il parroco non espresse il concetto. Non solo perché non credeva a queste frottole, ma anche perché Santina era già terribilmente spaventata. Cadde in ginocchio e prese a lamentarsi supplichevole.

"Che devo fare?" domandava disperata.

"Niente!" esclamò il parroco. "Rimettimi l'uomo sulla retta via. Incominci infine a dipingere, la carogna!"

Quando fu evidente che la mente della donna non avrebbe partorito alcun pensiero liberatorio, allora il parroco si chinò su Santina e la sollevò. L'accompagnò alla porta e, per nascondere l'imbarazzo delle parole audaci, le brontolò con irritazione di tener le ginocchia ben strette.

"Si, si, Santina," disse, sbattendo la porta con violenza. Indi giunse le mani e si dedicò alle proprie faccende: "... ut ab imminentibus pecatorum nostrorum periculis... te liberante salvari..."

Da allora il pittore ed il parroco di Čubed si vedevano quasi quotidianamente, abbellendo in lunghi colloqui l'interno della chiesa di Hrastovlje con figure, che nascevano dalla fantasia, innaffiata dal borgogna istriano. Da allora pure il lavoro non resto più indietro.

IV

Il signor parroco e Johannes di Castua erano assenti da casa già da due giorni. Erano diretti a Capodistria, perché tutto lasciava prevedere che sarebbe stato necessario - come si espresse il parròco - sarebbe stato necessario attingere alla cassetta delle elemosine. Il vescovo li ricevette subito il giorno seguente, poiché se si trattava di denaro, non si fidava di nessuno dei suoi tirapiedi; aveva una faccia talmente agra e diffidente, che pareva dicesse: vi siete messi d'accordo birbanti. Alla fine però dovette dare il suo beneplacito alle spese decise dal parroco e dal pittore. E acconsentì anche con una certa sollecitudine, dal momento che il parroco gli fece chiaramente capire durante il colloquio che dopo quelle settimane pestilenziali la chiesetta somigliava più a un ovile che a un santuario.

"Per non parlare delle profanazioni..." giunse le mani il parroco, con l'intenzione di proseguire, ma Sua Eccellenza aveva già raggiunto il campanellino sull'inginocchiatoio, e il suo argenteo scampanellio interruppe le allusioni forse addirittura blasfeme del parroco, richiamando nel contempo un cappellano dalle guance rubiconde. Il quale entrò, si inchinò e ricevette l'ordine di far pagare al signor parroco di Čubed dalla cassa vescovile un anticipo per le pitture ed il restauro della chiesa succursale di Hrastovlje.

Il parroco ed il pittore erano entusiasti della facilità con cui avevano ottenuto un tale successo. Si fermarono dunque all'osteria signorile vicino alla porta principale della cità, che era diretta dai monaci. Si fermarono dunque ed annaffiarono un po'abbondantemente col borgogna un certo pesce dalla testa grossa; per il parroco certo più che abbondantemente. Ma chi non si sarebbe rallegrato, se poteva spensieratamente dirigersi a casa dalla città col borsello pieno e con la benedizione del vescovo?

"Non si preoccupi, signor pievano," ripeteva il pittore durante il tragitto. "Lei badi solo a riposarsi..." Era giovane e camminava baldamente accanto all'asino bigio, sul quale sedeva il parroco che di tanto in tanto s'appisolava.

Raggiunsero il colle polverosi, affamati e stanchi, ma di buon umore. Poi, rifocillatisi ben bene accanto al focolare e al desco del parroco, ripresero il discorso nel punto dove l'avevano interrotto per strada. Oltre che dalla stanchezza, erano opressi anche dall'abbondanza di cibo e di bevanda ingoiati, cosicché le loro parole, pur non essendo fra le più ponderate, riflettevano però fedelmente i loro pensieri.

La questione delle spese era dunque risolta. Risolta ottimamente, si può ben dire. Sua Eccellenza avrà la chiesetta dipinta sino all'ultimo angolino, "mentre lei, signor pievano, avrà la sua via Crucis..." Così borbottava il pittore.

Il parroco alzò due dita ed il capo, guardava il pittore da sotto le palpebre frangiate, sillabando le parole.

"Ci dipingerai pure quella danza di scheletri, se no lascerai Čubed senza il becco di un quattrino. Per la dolcezza angelica e per la devozione dei santi non li spenderò, i denari! Ai peccatori bisogna far lume in modo ben diverso! Hanno trasformato il sacro tempio in un calderone del peccato, e se la peste li caccerà di nuovo in questo luogo, che l'abbiano davanti agli occhi, quia pulvis sunt et in pulverem reverterunt."

"Chi sono costoro?"

"Vescovi e capitani e prelati e suore... e..." Il parroco, in preda a un'ira santa, sollevò il boccale, vuotandolo.

Il pittore si stupì. "Signor pievano, anche le suore?"

"Taci e bevi!" brontolò il parroco, mostrando col suo comportamento che non poteva onorare di completa fiducia un immaturo pari suo.

"Taci e bevi," disse, e rivelò al pittore la sua ultima riflessione. Gli domandò se era possibile raffigurare Sua Eccellenza coi suoi occhi sporgenti... e con la mitra, naturalmente. "Sarebbe possibile?"

"Con la barba, dice, e con la mitra? Dunque in modo che fosse riconoscibile?"

Ah, come s'accese, il signor parroco! "Proprio così", s'affrettò, "in modo che sia riconoscibile... Sarebbe possibile?"

"Ad ogni modo dovrei osservarlo ancora una volta. Ma sua Eccellenza certo non verrà qui..."

Parlando così, Johannes di Castua rendeva il parroco di cattivo umore.

In fin dei conti ogni fedele poteva vedere il vescovo in chiesa; per tutte le feste un po' più importanti leggeva messa nel duomo di Capodistria. Si misero dunque d'accordo di andarci forse ancora una volta; quando, si sarebbe visto.

Più serio ancora fu il battibecco sulla creazione dell'uomo. Per ciò che riguardava Adamo, Johannes di Castua non faceva difficoltà, per Eva invece voleva avere una modella viva... una donna nuda o qualcosa del genere! In chiesa!

Il parroco fu talmente esasperato da far scricchiolare la pesante panca di quercia. Disse che la cosa più saggia sarebbe stata quella di scomunicarlo.

"Se dipingerai Sua Eccellenza da lontano, non avrai difficoltà neanche con Eva. Non mi dirai che non hai mai visto una donna nuda."

"Mai vista, signor pievano. Chi mai avrebbe il coraggio di peccare alla luce del giorno? E così... Lei ne ha mai vista una?"

Il parroco si alzò dalla tavola più presto del solito, mostrando così che per stasera di chiacchiere e di banchetti ne aveva abbastanza. Johannes di Castua si aviò alla porta così eretto, come se avessero bevuto idromele, mentre al parroco si arricciavano le labbra illividite, troppo tumide dal bere. Stava appoggiato rigido allo spigolo della tavola annerita ed oscillava impercettibilmente come il campanile della sua chiesa in una bufera invernale.

"Buona notte, dunque!" augurò il pittore, mentre il parroco rispondeva che sempre fosse lodato.

Bisogna aggiungere che forse il pittore l'avrebbe spuntata e sarebbe stato accontentato nel suo desiderio impudico, se fosse stato possibile trovare una comparsa adatta. Ma i fatti si svolgevano in tempi e luoghi tali, che sarebbe stato più facile far entrare un bue nel campanile che una campagnola nuda al cospetto del pittore. Ciononostante il miracolo con la costola di Adamo riuscì abbastanza bene al nostro uomo.

"La donnetta magari non é fatta proprio secondo la volontà divina" intervenne il parroco, "ma come primo esemplare potrebbe passare, se non avesse quell'occhio in mezzo al corpo."

"Che occhio, perbacco!"

Il pittore montò sulle furie, perché non era disposto a sopportare giudizi di profani sulla sua opera. Ma il parroco prese commiato. Aveva seminato il seme del malumore per poi andarsene. Aggiunse soltanto che quell'affare ombelicale su di Eva non gli sembrava necessario. "Assolutamente superfluo, penso, se é vero che fu fatta dalla costola di Adamo..."

Sulla soglia della chiesetta si voltò e, rivolto verso l'altare, gridò, se aveva intenzione di fare un salto a Čubed verso sera.

"Ti farai vivo stassera?"

"Vivo, vivo!"

La voce proveniva da dietro l'altare. E sebbene le parole tradissero offesa e una certa stizza, esse rallegrarono il parroco: tanto s'era abituato a quel mascalzone intelligente e fido alleato nelle sue trame, come pure alle piacevoli serate trascorse insieme in giardino (se almeno non vi fossero quelle dannate zanzare!) con davanti un piatto di prosciutto e un boccale di vino, nell'atto di criticare il mondo da punti di vista totalmente diversi; si era altresì abituato alle divergenze, sostenute con rabbia, sulla conformazione delle figure, prima di mettersi d'accordo se a un'immagine, vestita calzata e coperta in un certo modo si poteva permettere l'entrata nel tempio di Hrastovlje. A tutto questo s'era abituato e gli dispiaceva che ben presto tutta questa polemica sarebbe terminata.

Venne infatti il giorno in cui fu evidente senz'ombra di dubbio che Johannes di Castua sarebbe stato dispensato dal trascorrere l'inverno a Čubed. Dopo aver dipinto le prime teste di santi, il numero dei nuovi abitanti di questa sacra magione crebbe talmente, che il pittore fu trascinato nel vortice di questa confraternità in modo da non poter né pensare né fare nient'altro. Per santa Margherita la chiesa fu così piena di santi, patriarchi, di uomini del gran mondo e di scheletri, così zeppa che, come disse il prete - "non c'é nemmeno più spazio per entrarci!"

Johannes di Castua inizio dunque i preparativi del suo viaggio di ritorno. Erano quasi sei mesi che era via di casa, si avvicinavano i primi freddi, era dunque tempo di ritornarvi.

"Č già una settimana che mi aggiro qua intorno senz'alcuna vera necessità," disse un sabato, "sarebbe tempo che me ne vada..."

La chiesetta era dipinta ed i due erano soddisfatti del lavoro compiuto; lui e il pievano erano pienamente soddisfatti di tutte quelle storie, miracoli, figure ed immagini a colori. Trovarono anche un posticino adatto nel luogo sacro per scrivere i loro nomi. "Per tutti i secoli dei secoli," proferì il parroco, facendo astrazione dai Turchi, dai pirati, dai Franchi, dai Veneziani e dal patriarca...

"Questo lo dice per abitudine," disse il pittore, ghignando iriverente. "Lei dice per i secoli dei secoli..."

Certo, il parroco l'aveva detto senza riflettere, ma l'artista non ebbe difficoltà a compilare attentamente anche una scritta in latino. Fatto questo su desiderio e su istruzioni del parroco, si mise in cammino.

Il parroco si soffermò a lungo a guardare il viandante. Quando il pittore si volse, alzò il braccio e segnò in aria una croce con gesti larghissimi, di modo che Johannes non potesse non scorgere la benevola intenzione. Il pittore si scoprì il capo e sventolò il berretto, poi lasciò la via maestra e si perse nella scorciatoia ombrosa.

Non pareva che si fosse tolto il copricapo per gran rispetto verso la benedizione del parroco, "bensì più per euforia," si disse il parroco. "Euforia, perché passerà la note con Santina... Sta infatti dirigendosi verso il mare, il briccone, invece di andare verso oriente!"

V

Le barche che trasportavano merci dentro le mura di Castua e nelle sue ville, non le potevano scaricare nel porto di Fiume, bensì dovevano prima attraversare Rečina sino alla locanda sotto Trsat. Da qui i carichi venivano trasportati in salita nella fortezza per la strada più lunga su bestie da soma, come pure sulle spalle per scorciatoie a gradinate. Per queste ultime venivano i servitori più fidati, recando la merce più preziosa, con messaggi confidenziali, con scritti e documenti indirizzati ai signori. Tuttavia accadde che fra questi messaggi si trovasse anche una lettera per Johannes di Castua. Trovandosi in un plico sigillato, indirizzato all'abbazia di Castua, questa poté conservarsi e trovare la via giusta. Ma ci volle del tempo... La lettera incominciava:

Caro, degno maestro!

Prego Iddio che questo mio scritto ti raggiunga e ti trovi sano e non ti rattristi l'atto indegno del quale ti darò notizia in questa lettera, come rattristò e colpì me, il tuo amico pievano, come amavi chiamarmi.

Proprio in queste fredde giornate autunnali ricorreranno due anni dacché abbiamo festeggiato la grande opera, ispirata all'arte, della quale provò gioia, posso ben dirlo, ognuno che in questi due anni devotamente visitò la chiesetta di Hrastovlje. Ognuno, dico, fuorché il nostro eccellentissimo signore e vescovo Giacomo, il quale nella processione dei morti ravvisò sotto la mitra vescovile la propria faccia, e il quale non poté esimersi dal notare in quale direzione posava il suo sguardo, fosse poi vestita da suora o meno la priora del convento di Maria, la nobile Teresa Herlander. Credo che proprio questa sia la causa dell'indegna decisione da lui presa, della quale né la generazione presente né quella futura potrà rendergli merito.

Ieri l'altro un giovane preticello mi recò uno scritto dalla cancelleria vescovile. Lo scrito intima di far intonacare con calce l'interno della chiesetta di Hrastovlje dal soffittoto al pavimento "per estirpare in tal modo il traviamento spirituale e lo scandalo, portato dallo straniero in questa modesta e signora così devota chiesetta. Sebbene nelle raffigurazioni pittoriche sia da ravvisare l'abilità del maestro e la sua indubbia capacità artistica, la stessa inclinazione fu dallo spirito maligno indirizzata sulla via della perdizione, e ciò con tale audacia che non le si trova eguale."

Come potrei scriverti ancora, figliolo, di questo rimprovero del vescovo! Mi tormenta e m'incolpa di aver io permesso che nella mia parrocchia allignasse la pianta eretica che prospera rigogliosa, traendo origine dai paesi franchi e liburnii, e che pure da noi ha scandalizzato gia molte parrocchie. Si disgusta e s'indigna pure per la nudità di Eva, il che viene però considerato peccato minore - così dice il pastore della parrocchia di Capodistria - un peccato molto minore della profanazione delle chiese con la danza macabra che é frutto degli eretici luterani, esattamente come le illeggibili scritte in glagolitico, nelle quali ancora si cela lo svisamento religioso dei Bogomili.

Ho il presentimento del tuo dispiacere, caro giovane amico. Dispiacere per la gran fatica spesa in questo lavoro e per la gran gioia di cui entrambi eravamo partecipi mentre eravamo a contatto con quella biblica ricchezza. Ma dobbiamo accettare l'amara verità, perché Dio non permette che i piccoli s'inorgogliscano e cerchino di dar lezione ai superiori, da Lui stesso preposti.

Ti benedico, figliolo, e ti auguro nel tuo lavoro più fortuna in altri paesi! Il pievano di Čubed non ti dimenticherà facilmente.

A Čubed, nell'anno del Signore 1492, nel giorno di sant'Erasmo.


La preghiera d'introduzione in questa avventura (scrita in originale secondo la memoria e pronuncia dialettale della ottantenne Marika Mamilovič, deceduta poco dopo l'ultima guerra) si è conversata nella memoria di Zora Lipovec ed è stata approssimativamente adeguata al italiano.


Pretipkal Jože Hladnik aprila 1997.
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